Quello del licenziamento dopo maternità è un argomento molto delicato. Al termine del congedo di maternità le donne tornano regolarmente al loro impiego, ma è possibile invece il licenziamento? Le normative in Italia sono molto chiare, e prevedono delle precise tutele per le neomamme. Scopriamo insieme quali sono i diritti inalienabili e in che modo si può evitare il licenziamento.
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Licenziamento dopo maternità: tempi e scadenze
Cerchiamo ora di riassumere ciò che prevedono le leggi italiane. In primis la lavoratrice dipendente non può essere licenziata fin dall’inizio della propria gravidanza. Questo periodo viene fatto iniziare calcolando i 300 giorni precedenti a quella che dovrebbe essere la data del parto.
Il periodo in cui non si può licenziare la propria dipendente prosegue anche dopo il parto, in quella che è la fase del congedo di maternità. E anche al termine del congedo è necessario attendere che il bambino compia un anno per poter avviare una pratica di licenziamento.
La lavoratrice in gravidanza ha specifici diritti anche se decide di licenziarsi lei stessa. La legge prevede che non debba dare alcun tipo di preavviso da quando inizia il periodo di gravidanza (300 giorni prima del parto) a quando il bambino compie un anno di età. Tale decisione non porta alcun tipo di conseguenze sul piano giuridico.
In questo caso, nonostante si tratti di un licenziamento volontario, si ha comunque diritto all’indennità di disoccupazione. Questo perché ci si licenzia per la gravidanza, vista come un atto indipendente dalla propria volontà.
In una condizione di normalità tali dimissioni andrebbero presentate di persona all’Ispettorato del lavoro. Con l’emergenza Covid è stata attivata una specifica procedura telematica. Vi consigliamo di consultare il sito dell’Ispettorato del lavoro per saperne di più.
Diritti e tutele
Abbiamo visto quali sono gli intervalli di tempo in cui la donna in gravidanza non può essere licenziata. Ciò non toglie che esistano specifiche eccezioni che permettono comunque al datore di lavoro di chiudere il rapporto lavorativo. In primis troviamo la giusta causa di licenziamento, che contempla i casi di evidenti trasgressioni da parte della lavoratrice. Anche la fine del contratto o un periodo di prova non andato bene possono permettere il licenziamento della dipendente.
In questo periodo di tempo la donna è tutelata anche da pratiche di licenziamento collettivo e da eventuali sospensioni. L’unica deroga ammissibile a tale tutela è nel caso della sospensione dell’intero reparto o dell’intera azienda.
La lavoratrice è protetta non solo dal licenziamento, ma anche dal demansionamento. Ciò significa che quando tornerà al lavoro dovrà riprendere le proprie normali mansioni, o comunque attività equivalenti. Un demansionamento che non sia giustificato è considerato una discriminazione, e può quindi essere citato in giudizio.